Riassunto |
Il canto quattordicesimo dell' Inferno di Dante Alighieri si svolge nel terzo girone del settimo cerchio, ove sono puniti i violenti contro Dio, natura e arte; siamo all'alba del 9 aprile 1300 (Sabato Santo), o secondo altri commentatori del 26 marzo 1300.
Dopo aver radunato le fronde intorno al cespuglio del suo concittadino, Dante giunge insieme a Virgilio, sul limitare del terzo girone. In questa parte del settimo cerchio una lenta, inesorabile pioggia di fiamme si riversa sopra una distesa di sabbia infuocata. Tre gruppi di anime soggiacciono a tre diversi tormenti: i bestemmiatori, violenti contro Dio, supini, espongono tutto il loro corpo al fuoco che cade; gli usurai, violenti contro l’arte, stanno seduti, i sodomiti, violenti contro natura, devono camminare senza tregua. I bestemmiatori sono i meno numerosi, ma i loro lamenti soverchiano quelli degli altri. Fra loro spicca una figura gigantesca, che sembra incurante del castigo divino.
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Parafrasi |
Poi che la carità del natio loco mi strinse, raunai le fronde sparte, e rende'le a colui, ch'era già fioco. |
Poiché l’amore di patria mi riempì di commozione, raccolsi le fronde disperse, e le restituii a quell’anima, che ormai era muta. |
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Indi venimmo al fine ove si parte lo secondo giron dal terzo, e dove si vede di giustizia orribil arte. |
Giungemmo quindi al confine dove il secondo girone si separa dal terzo, e dove si contempla una spaventosa opera della giustizia. |
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A ben manifestar le cose nove,
dico che arrivammo ad una landa
che dal suo letto ogne pianta rimove.
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La dolorosa selva l'è ghirlanda
intorno, come 'l fosso tristo ad essa:
quivi fermammo i passi a randa a randa.
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Lo spazzo era una rena arida e spessa,
non d'altra foggia fatta che colei
che fu da' piè di Caton già soppressa.
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O vendetta di Dio, quanto tu dei
esser temuta da ciascun che legge
ciò che fu manifesto a li occhi miei!
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D'anime nude vidi molte gregge
che piangean tutte assai miseramente,
e parea posta lor diversa legge.
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Supin giacea in terra alcuna gente,
alcuna si sedea tutta raccolta,
e altra andava continuamente.
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Quella che giva intorno era più molta,
e quella men che giacea al tormento,
ma più al duolo avea la lingua sciolta.
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Sovra tutto 'l sabbion, d'un cader lento,
piovean di foco dilatate falde,
come di neve in alpe sanza vento.
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Quali Alessandro in quelle parti calde
d'India vide sopra 'l suo stuolo
fiamme cadere infino a terra salde,
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per ch'ei provide a scalpitar lo suolo
con le sue schiere, acciò che lo vapore
mei si stingueva mentre ch'era solo:
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tale scendeva l'etternale ardore;
onde la rena s'accendea, com'esca
sotto focile, a doppiar lo dolore.
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Sanza riposo mai era la tresca
de le misere mani, or quindi or quinci
escotendo da sé l'arsura fresca.
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I' cominciai: «Maestro, tu che vinci
tutte le cose, fuor che ' demon duri
ch'a l'intrar de la porta incontra uscinci,
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chi è quel grande che non par che curi
lo 'ncendio e giace dispettoso e torto,
sì che la pioggia non par che 'l marturi?».
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E quel medesmo, che si fu accorto
ch'io domandava il mio duca di lui,
gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto.
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Se Giove stanchi 'l suo fabbro da cui
crucciato prese la folgore aguta
onde l'ultimo dì percosso fui;
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o s'elli stanchi li altri a muta a muta
in Mongibello a la focina negra,
chiamando "Buon Vulcano, aiuta, aiuta!",
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sì com'el fece a la pugna di Flegra,
e me saetti con tutta sua forza,
non ne potrebbe aver vendetta allegra».
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Allora il duca mio parlò di forza
tanto, ch'i' non l'avea sì forte udito:
«O Capaneo, in ciò che non s'ammorza
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la tua superbia, se' tu più punito:
nullo martiro, fuor che la tua rabbia,
sarebbe al tuo furor dolor compito».
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Poi si rivolse a me con miglior labbia
dicendo: «Quei fu l'un d'i sette regi
ch'assiser Tebe; ed ebbe e par ch'elli abbia
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Dio in disdegno, e poco par che 'l pregi;
ma, com'io dissi lui, li suoi dispetti
sono al suo petto assai debiti fregi.
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Or mi vien dietro, e guarda che non metti,
ancor, li piedi ne la rena arsiccia;
ma sempre al bosco tien li piedi stretti».
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Tacendo divenimmo là 've spiccia
fuor de la selva un picciol fiumicello,
lo cui rossore ancor mi raccapriccia.
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Quale del Bulicame esce ruscello
che parton poi tra lor le peccatrici,
tal per la rena giù sen giva quello.
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Lo fondo suo e ambo le pendici
fatt'era 'n pietra, e ' margini dallato;
per ch'io m'accorsi che 'l passo era lici.
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«Tra tutto l'altro ch'i' t'ho dimostrato,
poscia che noi intrammo per la porta
lo cui sogliare a nessuno è negato,
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cosa non fu da li tuoi occhi scorta
notabile com'è 'l presente rio,
che sovra sé tutte fiammelle ammorta».
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Queste parole fuor del duca mio;
per ch'io 'l pregai che mi largisse 'l pasto
di cui largito m'avea il disio.
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«In mezzo mar siede un paese guasto»,
diss'elli allora, «che s'appella Creta,
sotto 'l cui rege fu già 'l mondo casto.
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Una montagna v'è che già fu lieta
d'acqua e di fronde, che si chiamò Ida:
or è diserta come cosa vieta.
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Rea la scelse già per cuna fida
del suo figliuolo, e per celarlo meglio,
quando piangea, vi facea far le grida.
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Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
che tien volte le spalle inver' Dammiata
e Roma guarda come suo speglio.
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La sua testa è di fin oro formata,
e puro argento son le braccia e 'l petto,
poi è di rame infino a la forcata;1
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da indi in giuso è tutto ferro eletto,
salvo che 'l destro piede è terra cotta;
e sta 'n su quel più che 'n su l'altro, eretto.
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Ciascuna parte, fuor che l'oro, è rotta
d'una fessura che lagrime goccia,
le quali, accolte, foran quella grotta.
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Lor corso in questa valle si diroccia:
fanno Acheronte, Stige e Flegetonta;
poi sen van giù per questa stretta doccia
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infin, là ove più non si dismonta
fanno Cocito; e qual sia quello stagno
tu lo vedrai, però qui non si conta».
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E io a lui: «Se 'l presente rigagno
si diriva così dal nostro mondo,
perché ci appar pur a questo vivagno?».
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Ed elli a me: «Tu sai che 'l loco è tondo;
e tutto che tu sie venuto molto,
pur a sinistra, giù calando al fondo,
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non se' ancor per tutto il cerchio vòlto:
per che, se cosa n'apparisce nova,
non de' addur maraviglia al tuo volto».
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E io ancor: «Maestro, ove si trova
Flegetonta e Letè? ché de l'un taci,
e l'altro di' che si fa d'esta piova».
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«In tutte tue question certo mi piaci»,
rispuose; «ma 'l bollor de l'acqua rossa
dovea ben solver l'una che tu faci.
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Letè vedrai, ma fuor di questa fossa,
là dove vanno l'anime a lavarsi
quando la colpa pentuta è rimossa».
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Poi disse: «Omai è tempo da scostarsi
dal bosco; fa che di retro a me vegne:
li margini fan via, che non son arsi,
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e sopra loro ogne vapor si spegne».
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Commento |
Il Canto si può dividere simmetricamente in due parti, dedicate rispettivamente alla descrizione del sabbione infuocato in cui giacciono i bestemmiatori (tra cui Capaneo) e alla storia del vecchio di Creta da cui hanno origine i fiumi infernali. |
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Purgatorio |
Paradiso |
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